16 SETTEMBRE 1982, IL MASSACRO DI SABRA E SHATILA: PER NON DIMENTICARE
Il massacro di Sabra e Shatila, consumatosi tra il 16 e il 18 settembre 1982, rimane una delle pagine più oscure della storia contemporanea, simbolo di atrocità, ingiustizia e complicità internazionale. In quelle ore, la brutalità della violenza contro civili inermi raggiunse un livello che continua a suscitare orrore e domande sul fallimento della responsabilità politica e morale globale.
A poche ore dall’assassinio del presidente libanese Bashir Gemayel, il 15 settembre 1982, Ariel Sharon, all’epoca ministro della Difesa israeliano, violò l’accordo mediato dal diplomatico statunitense Philip Habib, che prevedeva la protezione dei civili palestinesi nei campi profughi dopo il ritiro dell’OLP. L’esercito israeliano occupò Beirut Ovest in meno di 24 ore, giustificando l’operazione con la presenza, mai verificata, di circa 2.000 combattenti palestinesi nascosti nei campi di Sabra e Shatila.
Alle 18:00 del 16 settembre, Amir Drori, capo del Comando Settentrionale Israeliano, autorizzò le milizie cristiano-falangiste, guidate da Elie Hobeika, a entrare nei campi con il pretesto di “stanare i guerriglieri”. Ciò che seguì fu una carneficina. Per 40 ore, le milizie massacrarono uomini, donne e bambini con ferocia inaudita: coltellate, esecuzioni sommarie, mutilazioni e violenze sessuali. Le truppe israeliane, schierate a cordone intorno ai campi, non intervennero; al contrario, durante la notte illuminarono l’area con bengala, facilitando il massacro.
Quando la mattina del 18 settembre tutto si concluse, si stimava che tra 800 e 3.500 persone fossero state uccise, molte delle quali rifugiati palestinesi, ma anche libanesi sciiti. Le immagini e i racconti provenienti dai campi suscitarono un’indignazione globale. Il 16 dicembre 1982, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 37/123, definendo il massacro «un atto di genocidio» e condannando la complicità israeliana.
Nel 1983, la commissione d’inchiesta israeliana Kahan riconobbe la responsabilità indiretta di Ariel Sharon e di altri alti funzionari, accusandoli di “grave negligenza”. Sharon fu costretto a dimettersi da ministro della Difesa, ma le conseguenze politiche e legali furono minime, lasciando aperta una ferita mai rimarginata.
Oggi, il massacro di Sabra e Shatila è una tragica eco delle sofferenze che continuano a colpire la popolazione palestinese. L’assedio di Gaza, gli attacchi indiscriminati, la negazione di diritti fondamentali e l’uso sproporzionato della forza militare perpetuano un ciclo di ingiustizie che molti osservatori definiscono simile a un genocidio.
Ricordare Sabra e Shatila non è solo un atto di memoria verso le vittime, ma un monito per il presente. Senza una volontà concreta di perseguire giustizia e responsabilità, le atrocità del passato rischiano di diventare un modello per quelle del futuro. La storia, se non ascoltata, si ripete, lasciando dietro di sé un’umanità ferita e un mondo incapace di imparare dalle sue tragedie.
✍️ Gabriele Repaci
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