USA/ LA GIUSTIZIA È 'COSA NOSTRA'
La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha deciso (il 9 gennaio) di introdurre sanzioni contro la CPI (Corte Penale Internazionale) per aver spiccato mandati di arresto nei confronti del presidente israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant per le loro azioni (di genocidio) a Gaza: 243 deputati contro 140 (50 astenuti; 45 democratici si sono uniti ai repubblicani nel votare a favore) per l'"Illegitimate Court Counteraction Act" che sanzionerebbe qualsiasi straniero che indaghi, arresti, detenga o persegua cittadini statunitensi o di un Paese alleato, Israele compreso quindi.
Gli Stati Uniti non hanno riconosciuto la CPI, però l'hanno sempre incalzata ad agire quando si trattava di costruire complesse operazioni di rovesciamento (talvolta riuscite, altre no) di un governo non allineato: tra i vari interventi messi in campo, anche quello di indicare le figure politiche apicali nei confronti delle quali far scattare il mandato d'arresto (casi di Slobodan Milosevic o di Vladimir Putin, ad esempio). La CPI non è mai stata –né potrebbe per sua natura esserlo– un organismo sopra le parti e si è sempre rivelato uno strumento di servizio dell'Occidente a conduzione statunitense.
Il punto è che, dallo scorso 5 febbraio 2021, la CPI ha deciso, a maggioranza, di estendere la sua giurisdizione territoriale in Palestina, nei territori occupati da Israele dal 1967, vale a dire Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est, anche se Israele non ha mai ratificato il trattato istitutivo della Corte. La Palestina, in altre parole, è stata riconosciuta essere uno Stato ai fini dell’esercizio della sua giurisdizione, ragion per cui si possono aprire indagini sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi sul territorio palestinese, come richiesto (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.icc-cpi.int/sites/default/files/itemsDocuments/2018-05-22_ref-palestine.pdf) dallo “Stato della Palestina” che ha ratificato il trattato istitutivo della CPI (gennaio 2015) ed è da allora annoverata tra gli Stati-parte della Corte.
Di fronte al genocidio in corso a Gaza, la CPI (che finora sulla Palestina non si era mai mossa autonomamente, come in altre situazioni 'scabrose' per l'Occidente) non ha potuto soprassedere quando il Sudafrica, in rappresentanza di molti altri Paesi, ha avviato la richiesta di procedura per l'incriminazione di Netanyahu e Gallant. Ne andava della credibilità di detto organismo agli occhi dei Paesi dei diversi Sud del mondo e di quelli, ad altre latitudini, non allineati con l'Occidente.
Ora il centro dell'Impero euro-atlantico, con il voto del 9 gennaio, ha ancora una volta sfacciatamente messo le cose in chiaro: esiste un diritto su misura, ritagliato sui nostri (degli Stati Uniti e dei propri alleati/subalterni) interessi.
Questo voto, insomma, è una delle tante declinazioni di quell'«ordine internazionale basato sulle regole», cui si richiamano da oltre 20 anni gli esponenti delle amministrazioni statunitensi per non attenersi al diritto internazionale, quando questo non collimi con i propri interessi. Solo che gli equilibri del mondo stanno cambiando e gli Stati Uniti, con in scia l'Occidente (principalmente l'Unione Europea), non si vogliono rassegnare ad abdicare al loro ruolo arrogante e predatorio di decisori indiscussi, sul pianeta, delle sorti altrui e sono sempre più pronti a tutto per impedirlo. Una parte crescente di mondo però, sempre più esplicitamente, gli si sta rivoltando contro.
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