#pratichedilettura
Arrivando in Italia, la prima cosa che ho fatto è stata leggere il libro di Aleksej Naval'nyj, "Patriota".
Tra un mese ricorrerà un anno dalla morte di Aleksej Naval'nyj, politico d’opposizione russo, che ha scelto volontariamente di discendere all’inferno per le sue convinzioni. Non molto tempo fa è stato pubblicato un libro, raccolto postumo, composto dalle note scritte dopo l’avvelenamento e dai suoi diari dal carcere. Di recente, questo libro è diventato disponibile in formato elettronico anche in Russia.
Secondo i lettori, *Patriota* è un’opera che racconta allo stesso tempo una discesa all’inferno e un’ascesa verso il Golgota. Suona altisonante, ma anche la trama del libro ha un sapore evangelico. Tuttavia, non bisogna temere il pathos: Aleksej Naval'nyj rimane fedele al suo stile – ironico, coraggioso, ingegnoso e spietatamente onesto, persino verso sé stesso. È lo stesso Naval'nyj che i suoi sostenitori e oppositori conoscono: un ragazzo comune originario di una cittadina militare che, a un certo punto, ha capito chiaramente la propria missione – rendere la Russia libera e felice. Gran parte del libro è scritta con un ottimismo incrollabile sulla possibilità di raggiungere questo obiettivo. Sapendo come tutto è finito, è difficile non cadere nella disperazione.
Il libro cattura fin dalle prime pagine non solo con la storia della lotta, ma anche con le profonde riflessioni personali dell’autore. La trasformazione è ciò che colpisce di più: dal racconto vivace e quasi avventuroso sulla battaglia politica alla tragedia di un uomo che mantiene la fede in sé stesso e nei propri ideali sotto una pressione circostanze mostruose.
Profondamente toccanti sono i ricordi dell’infanzia sovietica e della giovinezza post-sovietica di Naval'nyj. Per molti lettori, specialmente quelli che hanno condiviso l’esperienza degli anni ’90, questi capitoli saranno una rivelazione speciale. Naval'nyj descrive vividamente i sentimenti della generazione dei "figli della perestrojka": dalla fiducia cieca in El'cin alla completa disillusione nella sua politica.
«Probabilmente non è odio, quello con cui si può odiare una persona viva», scrive Naval'nyj su El'cin, «ma un curioso miscuglio di antipatia, nostalgia e rimpianto. Rimpianto per l’enorme opportunità mancata della mia nazione e del mio popolo di vivere una vita normale, civile, europea…»
Questi pensieri rendono il libro particolarmente prezioso per chi cerca spiegazioni sui fallimenti della democratizzazione in Russia e sulle cause della situazione attuale.
Parallelamente alla politica, Aleksej racconta con immenso amore la nascita della sua famiglia: l’incontro con la moglie Julija in vacanza in Turchia, la nascita dei figli e il percorso condiviso attraverso innumerevoli arresti e perquisizioni. Sembrano una famiglia perfetta.
Per me, tuttavia, la parte più forte di questo libro è la prosa carceraria, in cui Naval'nyj rimane fedele al suo carattere. Con umorismo e amarezza descrive la sua quotidianità in isolamento: regole assurde, condizioni umilianti di detenzione, la disumanità del sistema carcerario. Ho letto molti libri sui gulag, e gli autori affrontavano quest’esperienza in modi diversi. Naval'nyj, invece, sorprende con la capacità di trovare motivi di gioia e ottimismo anche negli eventi più piccoli: pane con burro e caffè la domenica, una doccia in prigione o dettagli che nella vita quotidiana passano inosservati. Con semplicità e ironia descrive anche cose impensabili per un comune cittadino: il dolore infernale alla schiena e l’assenza di cure mediche, le vessazioni in prigione, il peggioramento delle condizioni di detenzione, il carcere di rigore. Sembra assurdo: siamo nel XXI secolo, la tecnologia avanza, gli esseri umani compiono miracoli con la scienza e l’intelletto. Eppure, nello stesso mondo, nella più grande potenza nucleare, esistono torture e trattamenti disumani verso persone che non hanno commesso alcun crimine violento.