Intervista al generale Antonio Li Gobbi sulla dinamica UNIFIL (credit Davide Romano)
Come si spiega quanto accaduto a basi Unifil?
“Credo che questa situazione fosse ampiamente prevedibile, forse si sono chiusi gli occhi finora e ora ci si stupisce di qualcosa di cui forse non ci si dovrebbe stupire. Il problema riguardo alla missione Unifil è che, come altre missioni Onu, può funzionare solo a patto che operi tra entità statuali che siano consenzienti e che siano in grado di esercitare un controllo effettivo su tutte parti in causa (e né Libano né Israele controllano gli Hezbollah etero diretti da Teheran). Ogni volta che si è pensato di poter ampliare il ruolo militare dell’Onu, come ad esempio in Congo nel 1964, si è assistito a un fallimento, perché in campo c’erano anche milizie non statuali, come ora c’è Hezbollah in Libano. C’è un’incapacità strutturale dell’Onu nel gestire operazioni militari, come avvenuto anche in Somalia, dove anche noi italiani abbiamo pagato un tributo di sangue, e ancora peggio in Bosnia, dove non si può dimenticare la vergogna di Sebrenica, e dove poi è dovuta subentrare la Nato con ben diverso mandato, diverse regole d’ingaggio e soprattutto diversa credibilità politica”.
Non ci si dovrebbe meravigliare dell’azione di Israele e della sua richiesta di arretrare di 5 km, avanzata ai vertici Unifil?
“Sì, perché di fatto la risoluzione Onu al cui rispetto è chiamata Unifil, la 1701, è disattesa da tempo, in effetti da 18 anni: le forze israeliane si erano ritirate al di là della Blue Line e in prossimità di quello che viene ritenuto un confine internazionalmente riconosciuto non avrebbero dovuto esserci operazioni militari, invece Hezbollah non solo ha proseguito con il lancio di missili sul nord di Israele, ma lo ha anche intensificato dopo il 7 ottobre”.
Ma come erano e sono stati finora i rapporti tra i vertici della missione Unifil e Israele?
“Va chiarito che non si tratta di rapporti interpersonali, Unifil ha avuto degli ottimi comandanti, anche italiani. Il punto è che l’Onu non è strutturata politicamente prima ancora che militarmente per condurre in proprio operazioni di peace enforcing, ma solo di peace keeping. Pertanto, una missione Onu si può istituzionalmente basare solo sul consenso delle parti al suo operato e questo si fonda sulla fiducia. Se uno degli attori (in questo caso Israele) ritiene che quella Forza non garantisca più il rispetto delle condizioni concordate e che consenta invece alla controparte di acquisire vantaggi ritenuti illegittimi, è inevitabile aspettarsi sfiducia nell’operato della missione Onu. Per questo Israele ha chiesto a Unifil di arretrare di 5 km, per poter agire contro Hezbollah, che ha le sue postazioni proprio in quell’area. Non è perché, come qualcuno sostiene, non vuole che ci siano ‘testimoni scomodi’, ma semplicemente perché avere una forza frapposta impedisce le operazioni e, oltretutto, facilita Hezbollah che può contare sul fatto che l’avversario non lo colpisca per la prossimità con la missione Unifil”.
Esistono dei precedenti?
“Sì, la stessa richiesta di arretrare fu avanzata dall’Egitto il 16 maggio 1967 alla missione Onu che si trovava in Sinai. All’epoca il Segretario Generale delle Nazioni Unite U Thant ci riflettè per tre giorni, poi acconsentì. Neanche un mese dopo Israele, dovette lanciare un attacco preventivo per precedere l’ormai imminente aggressione egiziana (con la guerra dei sei giorni)”.
Ma Unifil non dovrebbe essere proprio una forza di interposizione tra Libano e Israele?
“In realtà Unifil non è né una peace enforcement mission e neppure una missione di interposizione, come qualcuno si ostina a definirla. Il nome parla chiaro: United Nations Force Interim in Lebanon: è un interim che dura dal ‘78, da 46 anni. Forza Onu alla quale, nonostante la dedizione dei suoi militari, non è stato consentito dall’Onu stesso di utilizzare i mezzi idonei a far rispettare le molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite riferite alla contrapposizione israelo-libanese, di cui la 1701 del 2006 è solo l’ultima in ordine di tempo”.