Lui parlava con la sua voce lenta, educata, da confessore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome.
Poi, d’un tratto, compresi che non era disagio. Era paura.
Quest’uomo mi faceva paura.
Ma perché? Mi aveva ricevuto con gentilezza squisita: cordiale.
Mi aveva fatto ridere a gola spiegata: arguto, e il suo aspetto non era certo minaccioso.
Quelle spalle strette quanto le spalle di un bimbo, e curve.
Quella mancanza quasi commovente di collo. Quel volto liscio su cui non riesci a immaginare la barba. Quelle mani delicate, dalle dita lunghe e bianche come candele. Quell’atteggiamento di perpetua difesa. Se ne stava tutto inghiottito in se stesso, con la testa affogata dentro la camicia, e sembrava un malatino che si protegge da uno scroscio di pioggia rannicchiandosi sotto l’ombrello, o una tartaruga che si affaccia timidamente dal guscio.
A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male?
Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose.
Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia.
Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza.
L’intelligenza, perbacco se ne aveva.
Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla.
A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arrotolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso modesto e pieno di concretezza.
Il suo humour era sottile, perfido come bucature di spillo.
Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampillavano sangue e ti facevano male.
Lo fissai con rabbia.
Sedeva a una scrivania sepolta sotto i fogli e dietro, sulla parete di velluto nocciola, teneva una Madonna con Bambin Gesù. La destra della Madonna scendeva verso il suo capo a benedirlo.
No, nessuno lo avrebbe mai distrutto.
Sarebbe stato sempre lui a distruggere gli altri.
Con la calma, col tempo, con la sicurezza delle sue convinzioni. O dei suoi dogmi? Crede al paradiso e all’inferno.
All’alba va a messa e la serve meglio di un chierichetto.
Frequenta i papi con la disinvoltura di un segretario di Stato e guai, scommetto, a svegliare la sua ira silenziosa.
Quando lo provocai con una domanda maleducata, il suo corpo non si mosse e il suo volto rimase di marmo. Però i suoi occhi s’accesero in un lampo di ghiaccio che ancora oggi mi intirizzisce. Dice che a scuola aveva dieci in condotta.
Ma sotto il banco, scommetto tirava pedate che lasciavano lividi blu.
Oriana Fallaci
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