In nome del padre
Le parole non hanno solo un significato. Hanno anche un valore. E un'aura.
È senz'altro per questo che ultimamente si fa un uso spropositato della radice “pater”: un richiamo alla tradizione occidentale che risulta di forte impatto nel suo effetto evocativo, e che pertanto si presta benissimo ad essere utilizzato come cavallo di troia dei tanto abili quanto subdoli artifizi retorici tipici della bieca propaganda di regime da cui oggi siamo sommersi.
Ecco, dunque, il pater che diventa bersaglio: figura da abbattere, sconfessare, denigrare, giacché pilastro fondamentale di quella famiglia naturale che il sistema aborre in modo assoluto.
Perché non ci deve essere una rete di protezione primordiale che vada oltre lo Stato: il singolo deve essere tenuto solo ed isolato, così da essere più malleabile. Più vulnerabile. Al limite dell'inerme.
E quindi, attraverso l’infingarda narrativa su un preteso patriarcato, si alimenta quella guerra tra sessi che, insieme a crisi economica indotta, attacco alla salute, normalizzazione dell'aborto e promozione a tutto spiano del gender, ha un ruolo così fondamentale nella denatalità e, pertanto, nel graduale depopolamento tanto agognato dall'elite al potere.
Dalla parte opposta, con un magistrale capovolgimento semantico, tutto il contrario. La medesima radice latina diventa come per magia rassicurante, benevola, quasi fosse un focolare domestico: ed ecco servito il concetto di "paternariato".
Sì, proprio quel connubio di forze tra pubblico e privato che il regime ti spaccia come la soluzione ottimale, anzi definitiva, ai moderni ed altrimenti insormontabili problemi posti dal perseguimento del bene comune.
Quindi, è già paternariato ovunque: nelle dichiarazioni d'intento ONU e nella relativa agenda 20/30; nei discorsi delle più alte cariche istituzionali dei vari Stati; perfino nelle norme che più o meno sottotraccia autorizzano l'implementazione dei provvedimenti imposti dalle viscide politiche fintamente green.
Sì: partenariato. E hai la garanzia di una collettivizzazione delle spese a carico dell'uomo comune, con contemporanea attribuzione dei relativi profitti all'entità giuridica, di natura rigorosamente privata, che si assicurerà il ruolo nel teatrino che verrà inscenato per gabbare, ancora una volta, il popolo dormiente. Et voilà, la più efficace estrazione di energia dalla base della piramide verso il suo apice sarà realizzata in un baleno.
Nel caso non fosse abbastanza evidente, basta rifarsi al concetto di saccheggio: perché quando l'interesse strategico di beni demaniali, opere infrastrutturali o date industrie viene venduto, appaltato o concesso anche solo in parte a soggetti privati, ed idem per l'esercizio, con annessi poteri, di funzioni che sono per loro natura statali, allora si può star certi che lì vi è una distrazione a monte di risorse pubbliche, estorte ai cittadini mediante tassazione, solo per compiacere gli interessi, non necessariamente economici, di qualcuno.
Un qualcuno che, guarda caso, appartiene sempre alla solita nomenklatura. E che, per altra fottuta coincidenza, in definitiva è il medesimo che spinge a tutto tondo per le politiche di depopolamento massivo.
Già. È lì che sta il nemico. Sempre uguale, solo ben mimetizzato a seconda del contesto, epperò comunque individuabile per la monotonia della strategia utilizzata: l'inganno, l'umiliazione, lo sfoggio di potere, unito comunque all’onnipresente rispetto, in qualche modo, dell'obbligo di verità.
E forse è proprio per il dovere di attenersi a questo obbligo che insistono tanto sul concetto di pater: perché devono rendere manifesto che quanto vanno facendo è una bestemmia, anche per chi non ha fede ma valori, contro il Padre di quella tradizione cristiana che per Sion rappresenta l'avversario predestinato.
Davvero: bisogna non avere occhi per non capire che è in atto una guerra epocale. Una guerra contro l'Uomo. Una guerra contro il creato.
Una guerra in cui, ancora una volta, chi ha cuore e fegato è e sarà chiamato a combattere.
In nome del Padre.
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